L’interruzione volontaria di gravidanza così come la scelta dell’obiezione di coscienza da parte di un medico rispetto alle pratiche relative alla stessa, sono entrambi diritti tutelati e previsti dalla legge 194. Ma se la resistenza di una parte della società rispetto ad alcuni diritti ritenuti come fondamentali, si è rivelata essenziale per rispettare la libertà di coscienza, questa non può certo essere applicata per negare l’altrui libertà.  Con la sentenza n. 14979/2013 la Suprema Corte di Cassazione condannava ad un anno di carcere con interdizione dall’esercizio della professione medica, una dottoressa di un presidio ospedaliero di Pordenone che aveva rifiutato visite e cure per una donna appena sottoposta ad interruzione volontaria di gravidanza, tutto questo nonostante i rischi di una grave emorragia.

Il rifiuto di vendere contraccettivi d’emergenza è una violazione dell’art. 38 del Testo Unico delle Leggi sanitarie

Nel 2007 Benedetto XVI esorta i farmacisti a praticare obiezione di coscienza in relazione alla vendita della contraccezione d’emergenza, ovvero la cosidetta pillola del giorno dopo. Furono molti i farmacisti a seguire quelle indicazioni senza pensare di essere nella piena violazione dell’art. 38 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie, basta ricordare a questo proposito il caso Pichon e Sajous, dove alcuni farmacisti si rifiutarano di vendere contraccettivi di emergenza per le loro convinzioni religiose, caso che arrivò fino alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte sentenziò appunto che le proprie convinzioni religiose non potevano imporsi sulle scelte di libertà di altre persone

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